Scottish Six Days Trial, la moto, i problemi e le curiosità della gara simbolo del trial
3 Maggio 2021Una salita a fianco di una condotta forzata con pietre mosse da risalire.
Un’immagine simbolo della manifestazione che ha gettato le basi del trial, la Scottish Six Days Trial: “una gara estrema per piloti e mezzi”, così la descriveva Giulio Mauri nel libro Tutto Trial.
Un tomo che da bambino sfogliai e rilessi non so quante volte, immagini per lo più in bianco e nero che mi hanno permesso di conoscere il trial, i suoi campioni ed appassionarmi a questo meraviglioso sport.
Mai e poi mai avrei pensato che un sabato di inizio Maggio alle ore 12, sarei arrivato ai piedi di quella salita in moto, dopo sei lunghissime giornate trascorse in piedi sulle pedane.
Ricordo perfettamente quando mi fermai per scattare le foto con il cellulare, soluzione ideale per fermare qualche istante di gara.
Ma facciamo un passo indietro.
Ho sempre pensato che un giorno avrei realizzato il sogno di partecipare ad una gara fuori dai confini Italiani ma mai alla SSDT, la vita però riserva delle sorprese e dopo due anni di “pressioni” psicologiche da parte di Alessandro Merlo, decisi di inviare l’iscrizione nel mese di Ottobre 2018.
I mesi invernali furono utili ad attrezzarmi ed acquistare completo antipioggia, calze impermeabili, giacchini da sci di fondo, protezioni in carbonio per l’avantubo di scarico-forcelle e tante altri piccoli dettagli utili.
Con le prime gare incontrai amici che vi avevano partecipato, diversi i giudizi inerenti alle difficoltà, si spaziava da una gara durissima a “tranquillo si viaggia bene” di Luca Paoletti, tecnico Beta con un passato da endurista e partecipazioni ad eventi mondiali.
Dodici ore in moto trascorse a risalire torrenti l’allenamento pre gara ed una crescente paura mista ad eccitazione, mi ha accompagnato nei mesi precedenti.
Così siamo arrivati al 4 Maggio 2019 quando sono salito sull’aereo destinazione Scozia.
Dopo una mezza giornata da turista l’ansia è salita la domenica mattina, quando ho incontrato la mia compagna di viaggio, la Trrs RR X Track allestita con tutte le soluzioni per la SSDT dall’importatore inglese Steve Saunders.
L’ex pilota Inglese, nonché vincitore più volte della gara, mi ha spiegato le soluzioni adottate.
Spugna a cellula aperta per evitare che il fango di accumuli e l’acqua entri in cassa filtro.
Setting delle sospensioni un po’ più morbido, in particolare all’anteriore, per digerire le asperità in sequenza, interruttore posto al manubrio per attivare la ventola in caso di guasto del bulbo e le immancabili manopole Renthal Medium legate con il fil di ferro, per evitare che ruotino quando si infiltra l’acqua.
Inoltre la spedizione del Team Blackbird godeva della presenza di Ugo Colombatto, tecnico dalla notevole esperienza con numerose presenze a Fort William alla tenda assistenza che, mi dispenso’ altri consigli come quello di tirare la marcia, poi rilasciare il gas, dare due colpetti per rimandare in combustione miscela fresca e garantire al pistone la corretta lubrificazione.
Avevo scelto e risceglierei la moto con sella e serbatoio maggiorato per due motivi, comodità nei trasferimenti e la sicurezza di godere di una riserva di carburante utile in caso si sbagli strada.
La Scottish è una gara tosta, altro che una passeggiata come diceva Luca Paoletti….
Me ne accorsi fin dal primo giorno quando in trasferimento capii che bisognava andare sempre al massimo, mentre il carburante nel serbatoio scendeva a vista d’occhio!
Altra caratteristica di questa gara quella di dover guardare la zona velocemente, posare lo zaino ed affrontarla, alcune poi visti i tempi tirati non permettono nemmeno la visione a piedi per recuperare tempo.
I piloti inglesi sono abituati a questi ritmi, per rendere l’idea nei tratti più impegnativi del trasferimento, principalmente i prati ricchi di blackwater (pozze di fango simili a sabbie mobili), utilizzano una marcia in più di quella dei “continentali” e saltano come degli stambecchi le difficoltà che si presentano davanti.
Capita anche a loro di sbagliare, di incagliarsi; l’immagine che mi è rimasta impressa è stata quella di un ragazzo che con una Montesa che mi superò e dopo poche centinaia si esibì in un highside degno della moto gp, fortunatamente senza conseguenze.
Sette, otto ore e 100 km al giorno (come minimo), in piedi sulle pedane con la moto sempre accesa, una vera prova di resistenza per il mezzo, soprattutto per i trial moderni dove la performanche è limitata alla zona ed il trasferimento condensato in pochi chilometri.
Guidare preservando il mezzo è fondamentale ma gli imprevisti non mancano.
Un tendicatena sostituito per averlo piegato e rovinato il primo inconveniente.
Fondamentale il controllo del mezzo più volte al giorno, pulire il radiatore dopo ogni tratto fangoso permise di scoprire che il bulbo si era rotto e non avviava più la ventola.
L’interruttore al manubrio salvò la situazione facendola girare sempre, ma muovendomi lo disattivai più volte ed il tubo tra testa – radiatore si dilatò fino ad incidersi.
La manutenzione è curata dal pilota quindi tutte le operazioni devono essere svolte in autonomia, tra queste il cambio olio.
Anche il lubrificante dedicato alla trasmissione studiato per sopportare le gravose condizioni apparve vissuto, quando il mercoledì sera fu sostituito con 350cc di un mix tra olio Nils Clutch Trial e 20 w 30.
Ultimo inconveniente quello della protezione in plastica del silenziatore, due volte ko a causa delle alte temperature raggiunte dall’impianto di scarico che entrando direttamente in contatto con lo stivale si ruppe lasciando tracce di plastica su questo.
Pochi contrattempi considerando che in 6 giorni percorsi 825 km in 42 ore…
Ciò che capii a fine gara è che l’esperienza acquisita in questa maratona sarebbe stata utile in moltissime situazioni, mi permise di scoprire angoli sconosciuti del mio carattere e mentre affrontavo l’ultimo chilometro tra la zona tracciata in centro paese ed il paddock, un mix di emozioni si scatenarono in me…
E la domanda che mi posi fu: “ La vorresti rifare o basta così?”
Il mio socio Marco Marranci rispose la seconda, io invece rimasi folgorato da una gara tanto assurda quanto affascinante.